Buongiorno del 28/5

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Buongiorno del 28/5

Quando l’amore in ciò che si fa cambia il destino

I gestori dell’impianto manomettono i freni per evitare interruzioni e mancati guadagni: 14 morti.

Il papà di Eitan in un disperato gesto d’amore abbraccia il figlio per attutirne lo schianto: gli ridona la vita.

Il mondo non lo cambia chi grida più forte, chi lotta per affermare la propria idea, chi si scandalizza che la realtà non corrisponda al suo pensiero; il mondo lo cambia chi mette amore in ciò che fa, chi riconosce nel suo particolare – che sia lavare i piatti o amministrare uno Stato – il riverbero dell’infinito, chi tratta con la stessa cura la parte visibile e la parte invisibile della sua opera. Perché lo scopo del lavoro non è fare soldi o farsi dire “bravo”, ma collaborare alla creazione e alla cura del buon Dio.

Come ben sapevano i medievali, per cui tutto era come costruire una cattedrale.

“Un tempo gli operai non erano servi.
Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore.
La gamba di una sedia doveva essere ben fatta.
Era naturale, era inteso.
Era un primato.
Non occorreva che fosse ben fatta per il salario o in modo proporzionale al salario.
Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone.
Doveva essere ben fatta per sé, in sé, nella sua stessa natura.
Esigevano che quella gamba fosse ben fatta.
E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano.
Secondo lo stesso principio con cui costruivano le cattedrali.
E sono solo io – ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione.
Il lavoro stava là.
Si lavorava bene.
Non si trattava di essere visti o di non essere visti.
Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.

Charles Péguy, da L’argent

Credits – gpointstudio

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