Il ricordo non è storia.

Ricordare significa conservare un’esperienza nella memoria. Non si tirano le somme, non si generalizza, non si fanno analisi: quello è il lavoro dello storico.

Eppure, nel fare storia, dai ricordi bisogna pur sempre partire. Frammentari, autentici, falsati, strumentalizzati: restano pur sempre una fonte irrununciabile.

Il giorno del ricordo, appunto, può aiutarci a non vedere alcune di queste esperienze dissolversi. Può aiutarci a tramandare le voci che vanno a comporre il complesso mosaico della realtà, le voci delle vittime delle foibe e di coloro che dovettero, durante il secondo dopoguerra, abbandonare le loro case in Istria, in Dalmazia e in Venezia Giulia. Può aiutarci a comprendere come l’odio sia pronto a esplodere, compreso, forse atteso, forse non sorprendente, ma mai giustificato. Può aiutarci a capire quanto sia importante costruire un mondo in cui la nostra barbarie sia solamente un ricordo.